Con “La Gioia” Delbono porta in scena la pazzia

Via il dente, via il dolore: lo dico subito, a me “La Gioia” non è piaciuto. Il lavoro presentato da Pippo Delbono al teatro Mercadante non rientra per nulla nel genere di spettacoli che piacciono al sottoscritto. Detto questo diciamo subito un’altra cosa: che a me non sia piaciuto non significa assolutamente nulla. Questione di gusto personale. Il lavoro di Delbono merita rispetto: ha trattato un tema, quello della pazzia, difficile da portare in scena. C’è voluto coraggio a farlo. C’è voluto anche coraggio da parte della direzione artistica del Teatro di Napoli di metterlo in cartellone. Il coraggio va sempre premiato, sia di chi porta in scena una cosa difficile, sia da parte di chi dà spazio ad una commedia come questa.

Lavoro difficile, si diceva. E’ sempre complicato parlare di un tema, quello della pazzia, che solitamente disturba lo spettatore. Poi c’è stata la scelta di evitare una scenografia, ed anche le luci non hanno fatto nulla per movimentare la scena. “La gioia” è una commedia che ti porta a riflettere, e non sempre di chi a teatro la sera ama farlo.

C’è da dire che il pubblico ha seguito in religioso silenzio per tutti i 75 minuti quello che la voce narrante raccontava. Non essendoci una trama era anche difficile seguire il tutto. Nessuno, diciamo quasi nessuno, ha lasciato il suo posto durante lo spettacolo. Sarebbe per altro stata una cosa ingiusta verso chi stava mettendo tanto impegno.

L’impressione avuta è che la grande maggioranza dei presenti sia rimasta diciamo così sorpresa dal genere di commedia. Pochi hanno gradito. Una curiosità: in tutti i 75 minuti di spettacolo c’è stato un solo applauso. Al termine di “Maledetta Primavera”, la canzone tornata tormentato di Loretta Goggi. Un qualcosa di completamente avulso dal resto della commedia. Per altro era la voce era proprio di Loretta Goggi, non dell’attore in quel momento sul palco.

Abbiamo detto: lavoro duro, difficile, c’è voluto coraggio a portarlo in scena. C’è per altro un qualcosa che nessuno ha compreso: la sola voce che si sentiva era quella del protagonista, interpretato dal Delbono. Ma era chiaramente registrata.  Le novità in genere sono sempre da plaudire. Magari il risultato finale può essere deludente, ma ci sta che qualcuno provi ad innovare le cose. Altrimenti non si andrebbe mai avanti. Sta di fatto che il teatro da che esiste si basa sulla voce degli attori. Magari ci sarà anche qualche voce fuori dal palco, una voce narrante. Ma che un attore protagonista non parli, e che venga usata una registrazione snatura il senso del teatro.

Qualcuno dirà: ma sei proprio certo che non era la voce dal vivo ma una registrata? In linea di massima sì, ne sono certo, e tutti hanno avuto la stessa sensazione. E nel discuterne al termine del lavoro qualcuno lo ha anche sottolineato. Sta di fatto che se invece di essere una voce registrata fosse la vera voce dell’attore la cosa sarebbe anche peggio. Si può perdonare un esperimento, anche se andato male. Ma non sarebbe ammissibile un errore del genere da parte di un fonico.

Quindi bocciatura su tutta la linea? No. Il gusto personale ci porta a non gradire lavori come questo. Ma questo non significa che non ci sia un pubblico che apprezzi. Va lodato il coraggio, il fatto che si sia portato in scena un tema così difficile.

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