L’uomo più crudele del mondo: le ultime sette parole cambiano il senso della commedia del Bellini

“Si chiamava Sofia, aveva solo sette anni”.

Le ultime parole pronunciate da Lino Guanciale ne “L’uomo più crudele del mondo” non solo chiudono il lavoro di Davide Sacco, di scena al Bellini. Ma hanno il potere di cambiare radicalmente il senso della commedia.

Non sveliamo il finale per non rovinare la sorpresa a chi non conosce l’opera ed è intenzionato ad andare a vederla. Possiamo solo dirvi che cambia completamente il senso del dramma. Un colpo di scena che sorprende il pubblico. E dà un tocco di classe finale ad un lavoro che fino a quel momento si era lasciato guardare soprattutto per la bravura dei due interpreti.

Lino Guanciale ha dimostrato di essere in grado di sostenere ruoli ben diversi da quelli che ne hanno segnato la gloria attraverso le varie fiction televisive. Un ruolo completamente diverso da quello del Commissario Ricciardi, per citarne uno. La creatura di De Giovanni (presente alla prima) risolve i casi parlando coi morti. Il ruolo ricoperto ne “L’uomo più crudele del mondo” è terribile, cattivo, desideroso di tirare fuori il peggio dal resto dell’umanità. Questo almeno fino agli ultimi 30 secondi di rappresentazione. Poi come detto cambia tutto. Tutte le certezze che sino a quel momento avevano accompagnato gli spettatori vengono meno.

Francesco Montanari, l’altro interprete, gli è stato alla pari. Un ruolo che nel corso dell’ora di commedia è cambiato.

Alla fine però protagonista diventa la storia. Che da banale diventa drammatica. Gli attori smettono di essere i protagonisti, il protagonista diventa l’autore.

 

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