Il gioco del teatro: Amleto

Se certe opere teatrali scavalcano le epoche, attraversano secoli e vengono ancora rappresentati – malgrado il degrado che tanti aspetti della nostra società presentano (in Italia e nel mondo) – un motivo ci dovrà pur essere.
L’unico modo per capire la magia di alcuni testi è andare a teatro e assistere alle innumerevoli versioni e letture che, di un medesimo testo, registi e attori propongono, a costo di apparire ripetitivi, estremi, incomprensibili, diretti, scomodi.
E’ il Teatro, quello vero, quello che non necessita di scenografie ingombranti, teatri rinomati, platee di centinaia di posti, dislocazioni privilegiate.
E’ il teatro delle idee, delle proposte, della libertà, anche se il teatro rappresenta la forma d’arte meno democratica che l’uomo abbia inventato in quanto – a teatro – comanda una sola persona: il regista.
Può coesistere la proposta dell’attore nel costruire il personaggio ma la parola finale spetta al regista.
E’ il teatro delle idee quello che si rappresenta in sale poco conosciute al grande pubblico; luoghi di aggregazione e cultura che cercano di farsi spazio nei piccoli centri – sia urbani che di periferia – in cui tra tante attività e con oggettive mille difficoltà, gruppi di appassionati e professionisti del teatro si impegnano, per portare bellezza e cultura lì dove meno te lo aspetti.
Accade a Pomigliano d’Arco, a Itaca – Colonia Creativa, fertile e multiforme spazio culturale dove non si esita ad apprestare una intera stagione teatrale e affiancare a spettacoli musicali, di danza, laboratori di scrittura e attività aggregative in genere una rilettura dell’Amleto di tutto rispetto, una proposta che nessun onesto appassionato dei palcoscenici dovrebbe perdere.
Il titolo completo dello spettacolo rappresentato domenica 25 febbraio 2024 nel citato spazio situato nel centro della cittadina della periferia ovest di Napoli (famosa più per il comparto industriale che ospita da decenni e per le tante strutture ricettive dove tutti ci rechiamo per gustare il miglior hamburger della città o per intrattenerci presso antiche distillerie dove ha trovato sede La Feltrinelli), è: Amleto o il gioco del teatro – progetto, adattamento e regia di Giovanni Meola, aiuto regia Chiara Vitiello.
In scena Solene Bresciani, Vincenzo Coppola, Sara Missaglia.
Lo spettacolo – letteralmente – smonta e rimonta continuamente la complessa storia del principe di Danimarca e della sua pazzia come un mosaico traballante, che gli interpreti in scena raccontano alternando ruoli e personaggi in un miscuglio scintillante e dinamico che non dà tempo al pubblico di distrarsi, nemmeno per un istante.
Nessuna scenografia.
Tutto è affidato agli attori (predominanza di donne, in barba al divieto – in epoca Elisabettiana – alle donne di calcare il palcoscenico) alla loro forza fisica, alla potenza del loro diaframma, alla loro capacità rappresentativa. Indossano abiti che da lontano ricordano quelli realmente indossati negli anni in cui visse il “cigno dell’Avon); mescolano storie, voci, vicende. Mostrano una invidiabile intesa, tempismo da maestri, rispetto del collega di palco e sostegno. Non si avverte alcuna prevaricazione o gestione errata dei tempi di scena. Malgrado il complicato intreccio della storia, il testo offre al pubblico i giusti passaggi per chiarire il ruolo di volta in volta ricoperto dalle attrici e dall’attore in un alternarsi di domande, risposte, ingressi, uscite, gesti (anche vigorosi) e sguardi dove ciascuno è di appoggio all’altro.
Uno spettacolo in cui non si avverte la presenza di un leader ma dove è il gruppo a dare forza a una storia che da quattro secoli appassiona e intriga, ben oltre il monologo più famoso e più rappresentato al mondo.
Solene, morbida e precisa; Vincenzo, ironico e istrionico; Sara, magnetica, puntuale e dalla indiscutibile autoritaria presenza scenica offrono proprio tutte le sfumature necessarie ad uno spettacolo cui vale la pena di assistere: per la rilettura alternativa; per il muscoloso impegno scenico; per la superba prova attoriale degli interpreti; per gli interrogativi che lascia negli occhi e nell’animo degli spettatori nel lasciare la pur confortevole sala teatrale, prima di rimettere piede là dove – nel frattempo e, in alcuni casi, purtroppo – la vita e il mondo hanno continuato ad andare avanti.
Perché finchè il teatro – pur non proponendo risposte – lascia il pubblico colmo di domande, è un teatro che vale la pena che continui ad esistere.
Oltre il suo significato; oltre la cronaca di cui risulta un veicolo privilegiato; oltre le sue interpretazioni: oltre i manganelli.
Essere…sopporta…coraggio...vivere…morire. Ce la facciamo, ce la facciamo!

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