Una felice serata alla Bouvette di Eva: una “Felicissima jurnata”, al Mercadante

Una felice serata alla Bouvette di Eva: una “Felicissima Jurnata”, al Mercadante

Tanta roba al Ridotto del Teatro Mercadante, un mercoledì di un dicembre in cui di indossare un cappotto proprio non se ne avverte la necessità.
L’ingresso al teatro che di ridotto ha soltanto un immeritato nome (le stagioni del Ridotto riempirebbero di qualità tanti altri teatri più blasonati nel nome e nella fama) è alle spalle della Bouvette di Eva, cooperativa sociale, organizzazione di donne in rete con istituzioni ed enti pubblici e privati per contrastare il dilagante fenomeno della violenza domestica e non sulle donne. E’ un esperimento vincente perché le donne della cooperativa, anche le addette al banco, sono donne che la violenza l’hanno vissuta sulla propria pelle, l’hanno patita e hanno avuto la forza di affrontarla, vincendo la paura. Ci raccontano qualcosa della loro storia, mentre gustiamo un ottimo caffè e ci invitano a frequentare più spesso la Bouvette, anche a pranzo, anche per un aperitivo con gli amici. Storie che hanno in comune un uomo aggressivo, istituzioni latenti, famiglie distratte se non conniventi, ambiente sociale svogliato e colpevole di mancato sostegno concreto, in luogo di tante parole dette al vento, mentre il vento induce a girare la testa dal lato opposto.
Il Teatro Stabile di Napoli offre accoglienza accorta, eleganza impeccabile anche nelle giovani hostess e steward, ambienti accoglienti ed ampi in attesa che si faccia sala, dove ancora ci si può guardare negli occhi anche tra perfetti sconosciuti, osservare con discrezione gli abiti indossati, interrogarsi circa la provenienza di chi – magari – di lì a poco ci ritroveremo al fianco in platea.
Il Teatro.
Appena chiamati, ci imbarchiamo in una – ovviamente – disordinata fila divisa in più flussi che convertono tutti verso la porticina fino ad incontrare una hostess dal taglio d’occhi decisamente orientale che provvede a vidimare biglietto.
Poche comode scale e poi entriamo nel Ridotto.
Al Ridotto si accede dal fondo della Platea. Ci imbattiamo nel mixer della regia e scendiamo la scalinata lungo la quale scegliamo su quale fila di posti accomodarci. Si tratta di panche, non di posti fissi. Un po’ di buona volontà e i posti possono aumentare, stringendosi un po’.
Scendiamo al buio; si sentono voci di vicolo, rumori di traffico di strada.
Ci accomodiamo in prima fila, praticamente sul palcoscenico: siamo già in pieno spettacolo.
Lentamente gli occhi si abituano alla flebile e sottile luce di qualche spia e man mano prende forma la sagoma scura di quella che si rivela essere una straordinaria e densa di significati macchina teatrale – ideata da Rosita Vallefuoco – che impegna l’intera scena e rappresenterà l’intero ambiente nel quale i due attori in scena reciteranno la loro parte.
Gli attori sono incastrati in questa macchina teatrale, un po’ Vesuvio, un po’ vicolo, un po’ casa, un po’ prigione.
Il basso. E’ lì che la cooperativa Puteca Celidonia ha ideato lo spettacolo: in due bassi del Vicolo della Cultura alla Sanità, beni confiscati alla camorra nei quali la cooperativa opera dal 2018, organizzando corsi di teatro anche gratuiti per il quartiere dove diventano palcoscenico la strada, un basso, un balcone.
Il testo racconta la storia di Lina e Lello, una coppia che vive in un basso che per loro rappresenta futuro e quotidiano, destino e illusione, reggia e prigione, vita e morte. Rappresenta amore, convivenza obbligata stretta tra pareti che sembrano sfiorarsi. Eppure in questo ambiente pieni di oblo di lavatrici, vasche da bagno, lampadine, vasche di pesciolini, in cui si muove il marito Lello – interpretato dal bravo Dario Rea –  malato, accudito dalla moglie Lina – interpretata da una straordinaria Antonella Morea – si dipana la storia della loro vita, della loro insofferenza e dei loro sogni, della loro dipendenza, dei loro sentimenti, della loro disperazione e della loro felicità, tutto vissuto alla luce del sole: perché la strada per loro è casa e  la casa è aperta alla strada in un’osmosi dalla quale Lina stessa confida che vorrebbe, ma non riesce, a tirarsi fuori.
Le voci reali di Assunta, Angela, Pasqualotto e di una donna di centonove anni – già ascoltate mentre il pubblico ha preso posto – entrano all’improvviso e partecipare allo sforzo di Antonella che con una gigantesca prova d’attrice ci lascia entrare in quella stanza, ci fa percorrere quel vicolo fino quasi a farci scansare scooter e auto, grazie alle musiche di Tommy Grieco e al rombo e rumori di ambiente mandati in sala dai riuscitissimi effetti di suono di Hubert Westkemper.
Siamo in strada, siamo in quel vicolo: siamo in quel basso, nella loro storia.
Tornano alla mente le atmosfere, le illusioni e i sogni infranti di Giorni Felici di Samuel Beckett, cui lo spettacolo rappresenta una chiara citazione. Emanuele D’Errico e il suo gruppo di lavoro é andato in giro per mesi (come lo stesso regista ci dice) con la macchina da presa, interrogando – nei vicoli della Sanità – la gente comune, ponendo loro “le domande che il testo aveva loro posto”, ascoltando così – e non senza fatica coordinando – le storie di chi non aveva mi sentito citare il nome e nessuna delle opere di Samuel Beckett.
Il risultato del lavoro di Puteca Celidonia e del giovanissimo gruppo di lavoro di Emanuele D’Errico che a fine spettacolo ha preso giustamente posto sul palcoscenico prendendo la propria fetta di meritati applausi) è di grande effetto.
Sottolineiamo il complicato lavoro di un intenso e significativo Dario Rea letteralmente posto al di sotto di una generosa e magistrale Antonella Morea e ne integra la scena, in un riuscito connubio a tratti immobile a tratti confuso che ha emozionato il pubblico, stipato in una sala gremita, che si è prodigato in applausi e consensi.
Fuori, il clima è mite nonostante il calendario.
La città è vuota, moderatamente silenziosa e tra le luci del Castello e del porto la piazza si prepara a un evento popolare.
La Città come il suo Teatro Stabile.
Lo spettacolo “Felicissima Jurnata” si terrà fino al 10 dicembre.

 

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