“E’ uscita di senno, e’ uscita di senno”. Cassandra.

Il Teatro Elicantropo, non lo trovi se non sai dov’è e non ci vai se non hai un buon motivo per andarci. Non ci si va per caso. Eppure di motivi per andarci ce ne sono davvero tanti. Anonima Romanzi, che nel Teatro Elicantropo trova casa, da oltre venticinque anni produce spettacoli unici, diversi, intimi, impegnati; spettacoli che meravigliano gli appassionati e che lasciano il segno negli spettatori che saltuariamente scelgono gli angusti ambienti di quest’ala del Monastero dei Gerolomini dove è allestita una sala teatrale multiforme, in grado di modificarsi (ben oltre la lecita e ordinaria immaginazione) alle messinscena allestite sul suo palcoscenico. Si attende nel vicolo la chiamata in sala e, nel frattempo – tra chi fuma e chi chiacchiera – le alte pareti che delimitano lo stretto vicolo accolgono un foyer all’aperto, dove anche se non vuoi ascolti le chiacchiere d’attesa degli altri ospiti, ne incroci gli sguardi, ne riconosci i lineamenti. Tutto è coerente; tutto è vero; tutto è palpitante di passione e coscienza. Dentro e fuori.
Ed è in questo scrigno di tesori che domenica si sono concluse le repliche di “Cassandra” di Christa Wolf, con la regia di Carlo Cerciello, spettacolo che ancora una volta ha visto una straordinaria Cecilia Lupoli impegnata in un lungo monologo in cui la giovane talentosa e navigata attrice (già allieva della più prestigiosa scuola di recitazione in città, quella dell’Elicantropo, appunto) diventa la celebre profetessa, figlia del Re Priamo e della Regina Ecuba, sorella – tra gli altri – di Paride e Clitennestra.
“Diventa”, non “interpreta”. Si, perchè nell’arco di 70 minuti Cecilia letteralmente depone le spoglie di giovane attrice ed entra nella storia millenaria, nelle vicende ma anche nella fisicità della celebre principessa troiana, condannata a predire il futuro senza essere mai creduta.
L’ingresso nella sala avviene in un filo di luce, tra leggeri fumi di nebbia che già preparano gli spettatori al clima che li avvolgerà nel corso della recita e li terrà incollati, col fiato sospeso, dalla prima all’ultima battuta di un copione intenso, con improvvisi cambi di ritmo, colpi di scena segnalati e realizzati grazie anche a tagli di luce del maestro Cesare Accetta; luci sapienti che appaiono elementari ma – nell’economia della scena – sortiscono un grande effetto. Le musiche discrete, morbide e penetranti di Paolo Coletta avvolgono con garbo – nella loro semplicità – i tanti ruoli che Cecilia assume nel raccontare la vicenda di Cassandra, rimettendo in ordine i vari frammenti di storia raccolti dalle varie fonti.
Cecilia è dotata di un carisma straboccante. La sua dizione perfetta non conosce cedimenti, qualsiasi sia la posizione assunta nel dipanare il monologo, dalla fetale a quella supina; i tempi scelti, lenti e inesorabili o – all’occorrenza – frenetici e rabbiosi; l’intensità del suo sguardo, anche quando recita ad occhi chiusi; il suo respiro, capace di sedurre e condurre quello di tutti gli spettatori, quasi fosse un novello pifferaio magico. Espedienti di scena fanno contemporaneamente da spunto e corollario in favore del poderoso impegno – anche fisico – che Cecilia affronta nel rendere sventure, amori, disperazione, violenze, delusioni e rassegnazione vissute da Cassandra, in una storia che da bambina la porta fino al tragico epilogo della distruzione di Troia e il drammatico destino che attende le sue donne.
Passato e futuro; storia e visione; amore e condanna.
Cassandra, che – nel passato – ha ricevuto il dono della preveggenza, vede il futuro ma resta legata al presente da robuste funi alle quali sembra aggrapparsi ma che in realtà la riportano alla disperazione della sua condizione reale, quella di chi – pur raccontando la verità – nell’intenzione di cambiare destini funesti, non viene ascoltato.
I minuti scorrono senza che lo spettatore se ne accorga. Il copione consente di sistemare frammenti di storia nel giusto ordine. Il cambio di respiro e il corpo di Cecilia partecipano a dare intensità alla sua voce e alle sue ben scandite parole; l’atmosfera nebbiosa e intima; il richiamo a temi presenti nei copioni da tremila anni in qua e tragicamente contemporanei: la violenza sulle donne e la guerra. Tutto contribuisce ad un risultato di grande effetto.
La sapiente regia di Carlo Cerciello offre agli spettatori l’occasione di sbirciare – indiscreti – l’anima di Cassandra, quasi fossero affacciati alle finestre di un vicolo nel quale la principessa troiana cerca di scappare ma si accorge di avere solo una direzione: nessuna via di fuga; nessun bivio; nessuna scala. Cassandra può soltanto andare – sola – incontro al suo destino.
A spettacolo teminato, dopo gli applausi e i ripetuti richiami in scena dell’attrice, alcuni spettatori si attardano a lasciare la sala avvolta dalla luce rossa che filtra dalle gelatine dei riflettori fissati sulle americane: e rimangono a pensare, storditi, dal fiume di sensazioni che lo spettacolo ha prodotto.
Dopo, nella sala, l’arrivo di Cecilia è accolto da calorosi saluti e meritati complimenti da spettatori, attori, registi presenti in sala. Cecilia emozionata dispensa sorrisi e strette di mano, incrociando gli sguardi di tutti, nessuno escluso, quasi fosse il salotto di casa: perché l’Elicantropo è la casa del teatro; e chi ama il teatro non può che sentirsi a casa in un luogo dove – più di tanti altri – ogni pietra ed ogni spazio trasudano passione. “Cassandra” di Christa Wolf va in tourneè. A Torino.

Controllando a stento l’imbarazzo di chi ha appena sbirciato tra i vetri rotti di una vecchia finestra, aspettiamo Cecilia e gli spettacoli cuiassisteremo nella prossima stagione, in quel luogo d’incanto che si chiama Elicantropo.

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