Qualcuno volò sul nido del cuculo: il coraggio di Gassman e De Giovanni premiato dal pubblico

Chi vuole coraggio a mettere in scena uno spettacolo chiamato “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Un titolo che richiama alla mente il film girato nel 1975, probabilmente della migliore interpretazione di Jack Nicholson. Diretto da Forman e ispirato all’omonimo romanzo di Ken Kesey, stiamo parlando di un film che ha fatto la storia del cinema. Impresa difficilissima quella tentata da Alessandro Gassman che ne ha firmato la regia avvalendosi del lavoro di Maurizio De Giovanni che ha “modernizzato e napoletanizzato” il racconto.
La storia la conoscono tutti. Si sviluppa in un manicomio, e parla di un mezzo delinquente che si finge pazzo per evitare il carcere. E finisce con l’essere coinvolto nella vita di “pazzi veri”. Un tema duro, che mette ciascuno dei presenti a contatto con una realtà che preferiremmo ignorare.
Diciamo anche che la commedia è tratta da un libro dei primi anni ’60. A quei tempi probabilmente la situazione nei manicomi era quella, semmai solo un po’ esasperata per necessità di racconto. Il lavoro di Gassman non ha per tutta evidenza nessuna intenzione di fare alcuna denuncia. Basti pensare ad un piccolo particolare. La vicenda è ambientata nel 1982. Lo si intuisce dal riferimento alla finale del mondiale di calcio vinto dall’Italia contro la Germania. In Italia la controversa legge Basaglia ha chiuso i manicomi nel maggio di 4 anni prima. Si tratta di uno spettacolo teatrale e basta, e come tale va giudicato.
Il giudizio del pubblico è stato positivo, almeno stando alla reazione degli spettatori a fine rappresentazione. Ed alla fine è questa la sola cosa che conta. Uno spettacolo che ha mischiato una vena comica al tema drammatico, il che non guasta. Credibili gli attori, da Daniele Rosso (Dario Danise), a Viviana Lombardo (Suor Lucia). Ci sia permesso però di sottolineare che la cosa che più ha colpito, quanto meno il sottoscritto, sono stati Il velo e le videografie di Marco Schiavoni. Originali, hanno reso uniche nel loro genere alcune scene.
Magari si poteva evitare la scena finale, con la distruzione della statua della Madonna da parte del gigante Ramon. Un modo per sottolineare la negatività di suor Lucia, che è la vera anima nera del racconto, ma i peccati della donna, sia pure una suora, non sono certo addebitabili alla religione.
In ogni caso facciamo nostra una frase presa da un volantino pubblicitario distribuito in teatro, che ha definito il lavoro “uno spettacolo appassionante, commovente e divertente”. Appassionante certamente, perché la storia ti attrae. Commovente di sicuro, visto che inevitabilmente si finisce con l’impersonarsi un questo o quel personaggio. Divertente a tratti, senza dubbio, anche se il tema trattato era di quelli che lasciano poco spazio al divertimento. Noi avremmo aggiunto un quarto aggettivo: “lungo”. A voler cercare il pelo nell’uovo c’è da dire che il tutto, intervallo compreso, è durato 3 ore. Troppo. Si poteva ridurre di almeno un’ora la durata complessiva, senza per altro che il racconto ne risentisse.

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